Lo straniero della porta accanto

Il racconto che pubblichiamo proviene dalla raccolta Cuentos perifericos pubblicata in spagnolo dalla casa editrice Biblos. Parte dei racconti sono stati pubblicati anche in italiano dalla casa editrice Marietti con il titolo Il venditore di rubinetti nella collana I Rèfoli. I racconti sono stati scritti dall’autore in paesi diversi dell’America Latina ed in differenti momenti. Quello ora pubblicato fu scritto in Messico nel 2001. Tutti si caratterizzano per il clima di mistero e il repentino epilogo.

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(Alver Metalli) Non è facile dargli una età, ma se dovessi farlo gliene darei una tra i quarantasette e i cinquant’anni. Poi è sempre benvestito, non ricordo proprio di averlo visto trasandato, e raffinato nel portamento, di una distinzione… come dire … equilibrata, che non dà nell’occhio e allo stesso tempo non è scolorita. Potrei parlare di una signorilità alla frontiera tra l’elegante-curato e l’elegante-naturale, proprio come la casa in cui vive, al confine tra due quartieri molto diversi tra di loro…

… Ah, grazie per il complimento. Sa, a scuola abbiamo una materia che si chiama oratoria, e questo mi aiuta molto ad esprimermi…

Mi creda: la sua casa è quella di una persona per bene, in un isolato di gente per bene, dove le case sono tutte protette da siepi alte ben curate e da cancelli in ferro rifiniti con buon gusto. La sua ha la facciata gialla, di un giallo maturo color banana; il tetto, invece, è grigio, un cenerino scuro che si confonde con il cielo quando le nuvole scavalcano le montagne e si mescolano con l’aria inquinata di Città del Messico. All’ingresso della sua casa c’è una fontana a cinque cascate; le coppe somigliano a delle conchiglie aperte rivolte verso il cielo. L’acqua vi precipita dall’alto, e dopo aver riempito la prima coppa, la più piccola, strabocca nella sottostante, leggermente più larga, e così via, sino a riempire la coppa più grande, dove galleggiano le chiazze verdi dei funghi acquatici. La fontana è il punto di ritrovo degli uccelletti della zona; vireos, reyezuelos, i saltadores dalla testa nera, i chipes, gli zanates, i più prepotenti. Ve ne sono sempre sul bordo della fontana e si bagnano nella coppa più piccola, dove l’acqua è meno profonda e cade dall’alto polverizzandosi in una miriade di schizzi. Ogni tanto arrivano anche degli hormigueros divoratori di formiche, e, più raramente, degli atlapetes preceduti dal sibilo acuto tipico della loro specie…

…No, signore, non so dirle esattamente quando è arrivato. Il momento in cui l’ho notato non coincide con quello della sua apparizione nel quartiere. Può darsi che fosse lì da mesi, o dal giorno precedente a quando ho cominciato ad osservarlo più attentamente, chissà! Degli altri vicini di casa mia non saprei proprio cosa dire; nei quartieri benestanti non si socializza molto. Il mio professore di storia dice che i ricchi non hanno una casa vera, una vera famiglia. Lui pensa che hanno un mondo tutto loro in un punto diverso dal posto dove risiedono. Ma questo discorso non vale per me. Io ho tutto qui, dove vivo e dove abito, nel mio quartiere…

…Vuol sapere quando ho notato lo straniero per la prima volta? Nessun problema, me lo ricordo bene! Era appena iniziato l’anno scolastico, quindi uscivo da casa tra le 7,15 e le 7,30, per essere a scuola alle 8. Qualche minuto prima delle sette, mentre faccio colazione, l’addetto alla distribuzione di giornali del quartiere lancia una copia sopra il cancello della casa di fianco. Noi, la mia famiglia voglio dire, non siamo abbonati a nessun quotidiano; perciò, l’addetto al recapito non si ferma davanti al nostro cancello. Sento, invece, quando arriva con il motorino, rallenta e tira il giornale verso l’uscio del mio vicino. Quando piove e il pavimento è bagnato il distributore dei giornali mette il quotidiano in una busta di plastica, così il tonfo si sente ancora meglio. Chissà perché lo fa e non l’infila semplicemente tra le sbarre! No, lo lancia sopra il cancello, e poiché è alto il giornale fa sempre un tonfo sulle mattonelle dell’ingresso, come quando si fa esplodere un sacchetto di carta. Non ho mai capito perché tira il giornale in quel modo! Mi sono sempre proposto di chiederglielo, ma non l’ho fatto. Se la cosa le interessa, le prometto che domani mattina glielo domando e le telefono la risposta….

No, nessun disturbo, non si preoccupi…. Sì, allora proseguo. Le dicevo del giornale: sia che piova o che ci sia bel tempo, generalmente il lancio avviene attorno alle sette, minuto più, minuto meno. Un quarto d’ora più tardi il mio vicino esce a prenderlo e se lo porta in casa. A volte, molto raramente, m’imbatto in lui che lo raccoglie…

…Sì, signore, ho detto che m’imbatto, è esatto. I primi tempi era proprio così; prima che lo notassi veramente m’incrociavo con lui quando uscivo di casa per andare a scuola. Ma poi, da un certo momento in avanti l’ho notato in maniera diversa, o forse l’ho semplicemente notato….

…Cosa intendo per notarlo in maniera diversa?… Diciamo che mi c’è caduto l’occhio sopra, o che l’ho visto per la prima volta come qualcosa di diverso dall’habitat circostante; non saprei spiegarglielo meglio, sa, sono ancora al primo anno di oratoria…

…No, non potrei fissare il momento esatto, signore, perché non ne ho preso nota su di un foglio, ma ricordo bene il momento in cui l’incontro con lui ha cominciato a non avere più nulla di casuale. Lo aspettavo, aspettavo di vederlo: a colazione mi domandavo dove fosse, cosa stesse facendo in quel momento. Lo immaginavo seduto al tavolo della cucina con del cibo del suo paese, cose dai sapori strani, forse, o simili alle nostre: uova, fagioli, tortillas, frutta, chissà. Vederlo era diventata una necessità, mi faceva sentir bene. Pensavo portasse fortuna, che la mia giornata, se l’avessi veduto, avrebbe avuto… come posso dire… sì, un andamento favorevole…

…Cosa intendo esattamente? Che se mi fossi imbattuto in lui ci sarebbero state buone probabilità che tutto andasse bene, altrimenti qualcosa sarebbe andato storto. Pensi che il giorno dell’interrogazione in matematica l’ho incontrato sulla porta quando uscivo di casa, e il professore, a scuola, mi ha chiesto l’unica cosa che sapevo: la radice quadrata. Un altro giorno che l’ho visto ho scommesso sul Pachuca in una partita impossibile, che tutti davano 7 a 1, e il Pachuca ha vinto! Mia mamma dice che sono tutte sciocchezze, che le cose vanno come devono andare. Io, però, non credo che sia così. Lei cosa ne pensa?…

…Non serve la sua opinione? Mia madre dice che ogni opinione è importante… Sì, proseguo, certo. Improvvisamente, un giorno, il giornale non è stato più lo stesso, quello con la testata verde, ma uno diverso, dal nome più lungo e più stretto, scritto in viola. Sul momento non l’ho riconosciuto perché la posizione in cui era caduto non mi permetteva di vederlo bene. Il giorno seguente sono uscito di casa subito dopo il lancio. Appena ho sentito il tonfo in terra ho aperto la porta per vederlo, prima che lui uscisse a raccoglierlo: era El Universal…

… Perché ha cambiato il quotidiano? Me lo sono chiesto anch’io, non creda. Che differenza c’è tra i due… che cosa non lo soddisfa del primo… cosa preferisce nel secondo… sono tutte domande che mi sono venute in testa. Così l’ho chiesto a mio padre. Naturalmente senza fare nessun accenno al vicino, come se si trattasse di una questione di scuola. Ciononostante, si è meravigliato non poco per il mio interessamento per i giornali. Mi ha risposto che Reforma è più vicino alle posizioni del governo di adesso, e che il secondo, El Universal, riflette di più le idee di chi lo critica. É così anche per lei?… Non sono cose utili da discutere in questo momento? Come preferisce. Allora continuo…

Che anche il mio vicino avesse cambiato le sue preferenze politiche? Mi è parsa una buona spiegazione, e per quel che n’avevo capito ho concluso che volesse leggere le critiche al governo piuttosto che gli elogi. Solo alla fine delle spiegazioni che le ho riferito, mio padre ha aggiunto che El Universal tratta con maggior ampiezza argomenti legati alla religione cattolica e alla chiesa messicana di quanto non faccia Reforma. L’ha detto mio padre, io glielo ripeto. Non è che m’intenda molto di queste cose.

Ho pensato, allora, che questo doveva essere il motivo del cambiamento di lettura. Sa, in casa mia non è che sono molto religiosi. Mio padre e le persone che frequentano la mia famiglia non hanno una buona opinione dei sacerdoti. Adesso poi che ci sono tutti questi casi di pedofilia ancora di meno. Però li biasimano perché s’intromettono sempre dove non dovrebbero. Mio padre li critica più degli altri. Quando vede un prete in televisione e questi dice qualcosa su un tema politico, mio padre s’innervosisce sempre. Il papa dell’Argentina, poi, non lo può vedere!…

Sì, adesso continuo, mi scusi: mi faccio prendere la mano dai particolari, me lo dice anche il professore di oratoria. Il giornale… il giornale l’ha cambiato, l’ho detto. Quale che sia la ragione, il mio vicino ha cambiato lettura, ma non le abitudini. Continua a uscire di casa tutte le mattine, tra le 7,15 e le 7,30. O quasi tutte. Perché a volte parte per un viaggio. Il giornale, allora, lo raccoglie la domestica, una signora grassa, che arriva tutti i giorni verso le nove e se ne va alle quattro del pomeriggio. Passa il tempo sulla porta o in strada davanti a casa a parlare con Lupita… Lupita? Lupita è la domestica di casa mia, una signorina che viene da un paese più a sud di Città del Messico, una un po’ ritardata, le sono sincero signor commissario…

…Le stavo parlando della posta, sì. Quando lui non c’è la posta si accumula nella cassetta delle lettere. Deve vedere quanta gliene arriva! Moltissima. La cassetta la posso vedere bene dal cancello di casa mia. É molto capiente, ma anche così si riempie in poco tempo.

Molte lettere gli arrivavano dall’estero, lo potevo vedere dal fatto che vi erano incollati sopra tanti francobolli strani, con fiori, con città, dei monumenti, con delle facce. Che avesse un gran numero di rapporti lo si capiva anche dalle visite che riceveva. Il giro delle sue conoscenze era straordinario. Possibile che avesse tanti amici? Io, sa, non ne ho nessuno… Perché? Non lo so proprio. Dopo un po’ spariscono, così, senza dire niente prendono il largo da un giorno all’altro. Mia mamma dice che divento asfissiante; voglio sapere tutto, non ho discrezione… Io non me ne accorgo; credo che la mamma esageri. Dice anche che dopo un po’ li spavento gli amici; ma non penso proprio; perché dovrei spaventarli? Ma magari lei le può spiegare meglio…

…Riprendo, sì, da una cosa che proprio non mi aspettavo, una cosa che mi ha lasciato di stucco. L’ho scoperta da solo durante le vacanze di Natale. Ho già detto che il mio è un quartiere di ricchi. Forse per questo c’è una piccola chiesa, su un vicoletto acciottolato un po’ grossolanamente, però le pietre al posto dell’asfalto fanno comunque un bell’effetto. La chiesa di lì è più che modesta, dedicata al Sacro Cuore di Gesù, decisamente sottotono rispetto al livello del quartiere. Ha il tetto spiovente come certe case dell’Europa che ho visto sul libro di geografia. Conosco il parroco per via della festa patronale del 23 di luglio. Per tre giorni sparano mortaretti a tutte le ore, cominciando alle sei del mattino. Mio babbo proprio non li sopporta. Ma anche la campana non scherza; è piccola e ha un suono fastidiosissimo… La scoperta che ho fatto? Eccola.

Mancavano pochi minuti alle sette del pomeriggio. Stavo attraversando il parco di fronte quando ho visto distintamente il mio vicino che entrava nella chiesa. Ho pensato che avesse bisogno di qualcosa. Mi sono detto che, forse, aveva ricevuto qualche brutta notizia dal suo paese e voleva far celebrare delle messe dal sacerdote. Per esserne certo ho aspettato che uscisse. Ed è uscito, ma quaranta minuti dopo, alla fine della messa, precedendo una decina di vecchie, di quelle che stanno chiuse nelle case ed escono una volta al giorno per andare a messa. Era proprio cattolico! “Ecco perché aveva cambiato il giornale”, ho pensato. Ma non era un prete!

La scoperta mi ha lasciato con il bisogno di saperne di più. Tutte quelle riviste, tutti quegli amici, e andava anche in chiesa tutte le settimane! Con il passare del tempo ho saputo altre notizie. Notizie, quasi tutte, che si addicevano alla sua personalità, a come si comportava, a certe stranezze come quella della messa. Per esempio che era un giornalista. L’ho capito da una rivista, per caso. Non mi ricordo più come si chiama. Fatto sta che c’era pubblicato un suo articolo, questo me lo ricordo ancora: parlava della frontiera con gli Stati Uniti, di quello che succede lì, dei centroamericani che cercano di attraversarla senza avere i documenti in regola…

…No, non lo facevo spesso. Sfilavo una rivista ogni tanto, quando vedevo che nella cassetta delle lettere ce n’erano molte. Non se ne sarebbe potuto accorgere di certo. E anche qualche lettera. Mi serviva per sapere i suoi pensieri, quelli segreti, quelli che si confidano agli amici per corrispondenza. Che fosse giornalista – come avevo scoperto – spiegava i suoi viaggi improvvisi e anche quella necessità di leggere il giornale alla mattina presto. Ho anche saputo che era di nazionalità italiana. Quest’ultima cosa l’ho dedotta dalle riviste che gli arrivavano, la maggior parte in italiano. Io lo so parlare, sa! Non bene, ma so leggere l’italiano. Me l’hanno fatto scegliere come seconda lingua a scuola, al posto dell’inglese. I miei hanno l’Italia in testa; l’unica cosa che non sopportano è il Vaticano. E quel papa dell’Argentina, come le ho già detto…

…Le dicevo delle lettere; erano più interessanti delle riviste. Ce n’è stata una che gli era arrivata da Roma, la capitale dell’Italia. Non c’era scritto il nome e l’indirizzo di chi gliela mandava, e la firma era uno scarabocchio; non sono riuscito a decifrarla. Chi gliel’aveva scritta gli parlava di un bimbo di nome Govindo. Un bimbo adottato, da quello che si poteva capire. Adottato e con dei problemi, per giunta. Forse era minorato, forse doveva morire, o tutte due le cose, non so. Chi gli scriveva la lettera gli stava dicendo che gli avevano scoperto una malattia dal nome strano che conduceva alla morte in pochi anni.

Cosa poteva aver risposto a una lettera così? Cosa? Avrei voluto saperlo; avrei dato qualunque cosa per saperlo. Ma non c’era modo. Le lettere che gli arrivavano le potevo leggere, ma quelle che scriveva lui no. Non le metteva mica nella cassetta delle lettere; le andava a imbucare all’ufficio postale! Qualcosa, però, potevo saperlo a distanza di tempo, se la persona a cui aveva scritto gli rispondeva. Allora c’erano dei passaggi che riportavano delle cose dette da lui o che rispondevano ad altre cose che lui aveva scritto in precedenza. Sa cos’ha risposto a quella lettera del bambino ritardato? Che farlo vivere felice anche un anno in più valeva ogni sacrificio. Proprio così…

Un giorno, un sabato, ho deciso di seguirlo. Vorrei non doverglielo dire ma la parola esatta è un’altra: l’ho spiato, spiato con una curiosità che non riuscivo a controllare. Mia mamma mi ha sempre detto che non si spiano le persone, ma non mi sono pentito di averlo fatto. Quel giorno mi sono svegliato prima del solito, nel timore che lo straniero uscisse di casa poco dopo aver raccolto il suo giornale, come qualche volta era successo. Mi sono appostato all’angolo e ho aspettato. A un centinaio di metri dalla casa, al termine dell’acciottolato, inizia il terreno dell’Università Nazionale del Messico. É proprio lì che è andato, all’università!

Non gli bastavano tutti gli amici che già aveva? E cosa se ne faceva di altri? Quella volta non ho potuto seguirlo; non avevo il tesserino universitario per entrare nel campus. Così ho deciso di ripetere il pedinamento appena ne avessi avuto la possibilità. Non ho dovuto aspettare molto. L’occasione è arrivata tre giorni dopo.

Mi sono piazzato alla stessa ora nello stesso posto, aspettando che uscisse di casa. La porta non si apriva, il giornale era in terra. Il tempo passava, alle otto lo straniero non era ancora uscito per prenderlo. Ho pensato che volesse dormire più del solito, così ho aspettato ancora. Ma non usciva. Poteva anche non essersi sentito bene la notte, mi sono detto. Alle otto e venti il quotidiano era ancora davanti alla porta della casa. Poteva essere in viaggio. Poteva essersi svegliato presto, prima della consegna del giornale, ed essere partito. Certo, doveva essere così: era partito per un viaggio e non me n’ero accorto. Che delusione! Ma non potevo fermarmi a quello che conoscevo di lui. C’erano troppe cose che non stavano assieme. Mi sfuggiva la colla, quello che le teneva unite, capisce?

Ho aspettato le quattro del pomeriggio che la domestica grassa se ne andasse. Quando è uscita anche Lupita per parlare con delle amiche, mi sono lasciato cadere dalla finestra del bagno sul tetto del garage. Di lì ho scavalcato una rete divisoria e sono saltato nel cortile della casa, quello sul di dietro. Era la prima volta che lo vedevo. C’era un’edera con le foglie piccole piccole, ben attaccate al muro di cinta; un alloro cresciuto storto, dei vasi con delle piante grasse di un certo valore e altri ancora con piante dalle foglie taglienti. Due pappagallini penzolavano a testa in giù da una gabbia rotonda; poco distante c’era un’altra gabbia, rettangolare, con dentro una coppia di canarini gialli che stavano immobili sul bastone, uno gonfiando le piume a palla, l’altro con la testa sotto l’ala. C’era anche una vasca con dentro una dozzina di pesci rossi.

Ero un po’ preoccupato, sono sincero. Quello che avrei potuto trovare nella sua casa mi poteva anche deludere. Mi sarebbe dispiaciuto dovermi ricredere su di lui, e questo, mi rendo meglio conto adesso che gliene parlo, era la ragione di un certo nervosismo. Ma dovevo saperne di più, trovare la risposta a un non so che di enigmatico che c’era in quello straniero.

Così sono entrato.

Nel corridoio c’era un tavolino di legno laccato con alcuni oggetti di pietra disposti con ordine: una piramide azteca di piccole dimensioni, la raffigurazione di un guerriero ocelot, una pietra nera con striature rosse dalla forma di pugnale. Era bellissima. Aderiva perfettamente all’incavo della mano. Era più leggera di quanto pensassi, liscia come il vetro. Quanto era affilata! Ho capito subito che era di quelle che usavano i miei antenati per compiere i sacrifici umani. Che oggetto stupendo! Non mi meravigliava che ce l’avesse uno come lui.

Mi sono affacciato sulla sala. Davanti a me c’era una biblioteca piena di libri che occupava tutta la parete. Alle mie spalle c’era un caminetto a legna e, sopra, la fotografia di lui con un altro uomo, più anziano, un sacerdote credo, tutte due sul terrazzo di un aeroporto, ma non saprei dirle quale. Ho avuto un soprassalto quando l’orologio a pendolo ha battuto il rintocco della mezz’ora. Ma il soprassalto più forte l’ho avuto quando l’ho visto.

Era lì. Seduto. Su una poltrona verde. Allora non era partito in viaggio! Si è girato di scatto. Ma non era spaventato…

…Come? Perché l’ho colpito con il pugnale di pietra? Non l’ho fatto, no, mi deve credere, non sono stato io… io lo ammiravo…