Il linguaggio dei piedi

(Alver Metalli). La lavanda dei piedi è forse tra i gesti più antichi compiuti da Gesù e assunto dalla Chiesa nascente che l’ha ripetuto nei secoli. Alcuni testimoni del momento primordiale lo collocano addirittura prima dell’istituzione dell’eucarestia, in quella che sarà l’ultima cena di Cristo con i suoi, sedando tra l’altro una discussione apertasi tra i discepoli del Maestro su chi avesse più titoli; dunque, più peso nelle iniziative che la compagine dei primi seguaci stava intraprendendo. Il significato del lavare i piedi lo afferma esplicitamente Giovanni, testimone e autore di uno dei vangeli: Cristo è il bene più prezioso, il resto si ordina a discendere e sempre in funzione del bene primario.

Da allora i cristiani di ogni latitudine hanno ripetuto questo gesto dal significato inequivocabile. L’hanno replicato con fantasia e allo stesso tempo in una sostanziale imitazione del momento originale, ovunque ci sono comunità cristiane e almeno un sacerdote.

In Argentina è diventato paradigmatico il momento in cui Bergoglio lavò i piedi a sette ragazzi della prima casa di riabilitazione da lui stesso inaugurata nella baraccopoli urbana di Buenos Aires, la così chiamata villa 21. Lo si può vedere ancora oggi in un filmato che resta nella rete per la memoria dei posteri, mentre si inginocchia, solleva i piedi, li bacia, con a fianco padre Pepe di Paola, che gli porge la brocca dell’acqua e l’asciugamani. In quell’occasione ebbe parole severe contro i nuovi trafficanti di schiavi che pretendono usare i giovani come carne da macello; la loro condanna – disse alzando la voce come i profeti dell’Antico Testamento – sarà terribile. Usò allora una parola che diventerà popolare nel gergo papale e si ascolterà molte altre volte nel corso del pontificato: los descartados, per dirla nella sua lingua, gli scartati, i disprezzati della società, quelli che non servono al sistema costituito, quello politico e sociale, non escluso quello più vicino del quartiere. “Quando qualcuno dice che sono un papa villero, prego solo di esserne sempre degno” ricorda ancora oggi nelle pagine della biografia Spera.

Quando compì il gesto che apre il triduo solenne, correva la Settimana Santa del 2008. Cinque anni dopo quel momento l’allora primate di Buenos Aires diventava Papa prendendo il nome di Francesco, e il gesto della lavanda dei piedi lo ripeterà a Roma, nelle carceri prevalentemente, ma anche con le vittime delle guerre che si sono accese nel frattempo in Europa e in Medio Oriente. Chissà cosa farà quest’anno, il primo dell’era Trump e della guerra dei dazi scatenata dal presidente americano?

Da allora i piedi sono cambiati, sono diventati via via quelli delle donne in pericolo di tratta, carcerati, ammalati, giovani di strada, drogati, migranti a rischio di espulsione… ma non il significato: affermare che Cristo e solo lui è il signore della vita e che nella sua memoria la Chiesa si prende cura dell’umanità ferita dal peccato e dalle sue conseguenze.

I piedi di quest’anno saranno quelli dei nonni, che non sono solo anziani, una categoria alquanto generica al cui interno cade come mele in una canasta chi ha compiuto la fatidica età di sessantacinque anni, ma pensionati per lo più, quindi persone che vivono del riconoscimento del lavoro prestato o di un’elargizione dello stato accordata per legge ad integrazione di quella spettante. Una categoria, quella dei pensionati, che negli ultimi anni ha visto progressivamente erodersi la propria fonte di mantenimento con tutto quello che significa in termini di qualità di vita. I nuovi emarginati, insomma, i descartados dell’Argentina di oggi.

Sono loro, quest’anno, che la Chiesa argentina, o buona parte di essa, ha deciso di mettere al centro delle celebrazioni del Giovedì Santo. Le due cerimonie simbolo della lavanda dei piedi si terranno a Buenos Aires e Santiago dell’Estero, l’ex sede primaziale e l’erede del titolo, e le porteranno a termine i rispettivi titolari nella parrocchia Virgen de la Inmaculada del quartiere Soldati della capitale e nella chiesa di Lourdes de La Banda.

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Osservatore Romano, 17-4-2025