Sono quelle, raccolte per la prima volta in volume da Massimo Borghesi, tenute da don Giacomo Tantardini nella basilica di San Lorenzo fuori le Mura, a Roma, nell’ultimo periodo della sua vita. Stanno già uscendo le prime recensioni, in gran parte scritte da giornalisti che hanno conosciuto don Giacomo e sentono gratitudine verso di lui, per quello che in fatto di fede e di intelligenza della realtà hanno ricevuto dal sacerdote scomparso nel 2012. Il primo articolo è di Giuseppe Frangi ed è apparso su Il Sussidiario. Il secondo è firmato da Alessandro Banfi su Vita. Il terzo, di Antonio Socci, è stato pubblicato su Libero, qui il link alla versione online. Su Avvenire ha scritto invece Angelo Picariello mentre Maria Antonietta Calabrò ha recensito il libro sull’ Huffingtonpost. Non solo giornalisti. Il sindacalista molisano Alfredo Magnifico ha voluto ricordare don Giacomo e le sue omelie, in Informamolise. Il costituzionalista Vincenzo Tondi della Mura ancora su Il Sussidiario.
Il Papa, oltre a incoraggiare la pubblicazione del libro, ha accettato di scriverne la prefazione. Il testo di Francesco è stato pubblicato integralmente dai media vaticani, su Vatican news e L’Osservatore romano, ma anche da Libero, da Avvenire e dal sito di Tracce.
Quello che pubblichiamo di seguito è il ricordo di Lucio Brunelli, amico e collaboratore di don Giacomo Tantardini, pubblicato su L’Osservatore romano del 21 giugno
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(Lucio Brunelli). Se si eseguisse un sondaggio sulla percezione che l’italiano medio ha delle “omelie” ascoltate in chiesa i risultati, probabilmente, sarebbero poco confortanti. Parole (molte parole) lontane dalla vita. Senso di astrazione, al quale si tenta di rimediare, in alcuni casi, con una pressante lista di “dover essere”. Quasi inevitabile, allora, distrarsi durante la predica, guardare l’orologio, lasciarsi sfuggire un piccolo sbadiglio.
Così ripenso davvero con gratitudine all’atmosfera di silenzio e raccoglimento che avvolgeva la basilica di san Lorenzo fuori le mura a Roma, quando il sabato sera, dall’autunno del 2000 all’aprile del 2012, don Giacomo Tantardini celebrava l’eucarestia e predicava in una basilica gremitissima di giovani e non più giovani.
Un libro ora raccoglie le omelie pronunciate negli ultimi cinque anni della sua vita da questo vivace discepolo di don Luigi Giussani: “E’ bello lasciarsi andare tra le braccia del figlio di Dio”, Libreria Editrice Vaticana, p.528, 25euro (a cura di Massimo Borghesi).
Il titolo riprende le parole dell’ultima commovente predica di don Giacomo, il 31 marzo 2012, Domenica delle Palme, parole dette con un filo di voce a causa della malattia incurabile che il 12 aprile ne provocò la morte.
Personalità vulcanica e anche controversa quella di Tantardini ma è innegabile la quantità e la qualità dei frutti spirituali che il suo servizio sacerdotale ha generato in migliaia di studenti universitari e adulti: conversioni di giovani senza più legami con la tradizione cristiana; riscoperta consapevole della fede in molti praticanti abituali; nascita di cooperative sociali e opere di carità; la rivista 30Giorni sulla vita della Chiesa nel mondo; i libri sul pensiero di sant’Agostino; pubblicazioni come il libretto Chi prega si salva diffuso in tutti i continenti con la doppia prefazione, del cardinale Joseph Ratzinger e di papa Francesco. Tutto questo è documentato nella seconda parte del volume curato da Massimo Borghesi che si è preso il rischio di tratteggiare, senza pretesa di esaustività, una prima biografia di don Giacomo.
Ma sono le omelie il centro del libro. L’eredità più viva e preziosa.
Sono state saggiamente suddivise seguendo la cronologia dell’anno liturgico (A, B e C), così per il lettore sarà più facile ritrovare le prediche relative alle Letture della domenica e delle festività temporalmente più prossime (attualmente ci troviamo nell’anno B).
È difficile scindere i testi delle omelie dal volto di chi le pronuncia; lo sguardo, il tono di voce, le pause, il gesticolare. La comunicazione è un tutt’uno, parole e volto. Belle parole lette con un volto spento, curvo su un testo precompilato, ci toccano di meno il cuore e la mente. Dei discepoli che seguivano Gesù, don Giussani diceva con espressione geniale che lo “guardavano parlare”. Prima dell’ascolto c’era un vedere. Per cui è difficile per me, che l’ho guardato parlare, immaginare l’effetto che la sola lettura dei testi possa generare in chi non ha conosciuto de visu don Giacomo. Ma seppure l’effetto esistenziale possa essere diverso, resta l’oggettiva bellezza di queste omelie.
Esse ci portano diritto al cuore del cristianesimo. Cuore che non è in uno sforzo umano o in un dovere di coerenza ma prima di tutto nell’iniziativa gratuita di un Altro: «Matteo non aveva preso l’iniziativa di andargli incontro, quando, seduto al banco delle imposte, prendeva la tassa al popolo eletto per gli invasori. E così anche Pietro e Andrea, nessuno aveva preso l’iniziativa… E così, guardando quelli che non avevano preso loro l’iniziativa, ma ai quali Lui era andato incontro, Gesù, guardandoli (è una delle frasi del Vangelo che più mi accompagna e mi commuove), guardandoli disse: “All’uomo è impossibile, ma a Dio tutto è possibile”» (10 ottobre 2009).
È il primato stupendo della Grazia, la sua “attrattiva amorosa”, il filo rosso che lega le omelie. Ma attenzione, siamo ben lungi qui da un disputare teologico avvitato su stesso.
Questo vocabolo cristiano – la Grazia – così dimenticato in tempi di nuovo pelagianesimo non evoca né nel predicatore né negli ascoltatori un senso di esclusione o superiorità nei confronti dei “non graziati”. Richiama piuttosto, ieri come oggi, una memoria fitta di incontri coinvolgenti, una storia concreta in cui protagonista non è chi gonfia i muscoli ma chi stende la mano, come il più umile dei mendicanti: “La Legge comanda, la fede domanda” ripete Tantardini. Una Grazia efficace, che ha il potere di cambiare la vita.
Il 6 febbraio 2010, in una messa concelebrata con padre Pepe, il prete della villas miseria argentine, don Giacomo commenta: «Le opere di misericordia chiaramente non si possono imporre, ma che miracolo grande quando la Chiesa si avvicina alla Chiesa dei primi cristiani che mettevano tutto in comune, che miracolo grande quando nella Chiesa, nel rispetto assoluto della libertà, si fa una certa uguaglianza, per cui anche chi abbonda nei beni materiali vive la propria ricchezza con una generosità più grande, vive la propria ricchezza facendo opere di carità e di giustizia, e di giustizia più grande!».
In un’altra omelia (14 aprile 2007) parla del “dubbio prezioso” di Tommaso. Prezioso perché rende evidente come la fede non nasce da un’auto-convinzione ma dal riconoscere Cristo vivo, dai segni della sua operosa presenza: «perché si è fatto vicino, perché si è fatto presente, perché si è fatto riconoscere, perché la dolcezza della sua presenza, la soavità della sua presenza accompagna il mio povero cuore”.