(Alver Metalli) Propongo alla lettura degli amici questa lunga e intensa intervista di Lucio Brunelli a don Donato Perron, un sacerdote oggi ottantunenne che anche io ho avuto il privilegio di conoscere (nella foto sulla porta della cappella che sorge nelle vicinanze della sua casa di Valtournenche, in Val d’Aosta). L’intervista la si può leggere nel Blog dell’autore Ad occhi sgranati con il titolo “Don Donato racconta”. Sono tanti gli spunti da sottolineare. Ne voglio, però, riprendere uno in particolare per il suo valore documentativo. Riguarda gli inizi di Gioventù Studentesca a Roma (poi diventata Comunione e Liberazione) e quelli della Comunità di Sant’Egidio, oggi conosciuta ed apprezzata per il forte impegno a favore della pace in tanti angoli del mondo.
Due realtà che all’inizio partecipano di una stessa esperienza a Roma e che poi imboccano due strade diverse. La separazione ha nel momento raccontato da don Donato Perron il suo punto sorgivo.
Ecco la domanda e la risposta che contengono questo incipiente bivio, che con il tempo diventeranno due veri e propri cammini differenti.
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(Brunelli) Mentre a livello nazionale inizia il travaso dalla Gs di don Giussani al nascente movimento di Comunione e liberazione, nel 1971 a Roma la rete dei “raggi” vive un’improvvisa crisi, che porta a dolorose fratture e alla nascita della comunità di sant’Egidio. Come andarono le cose?
(Perron) Posso solo dire come vissi io questi fatti. Un primo evento che produsse disorientamento fu la crisi vocazionale di don Luciano Iannaccone. Ordinato prete nel luglio 1970 appena un anno dopo lasciò il sacerdozio, si era innamorato di una delle ragazze più impegnate. Iannaccone era un tipo carismatico, visionario, sosteneva che i tre perni di una presenza della Chiesa nel mondo giovanile dovessero essere la scuola, l’università e il quartiere. Anche don Giussani, in precedenza, aveva avuto modo di ascoltare e apprezzare le sue idee. Nell’estate del 1971 – un po’ scossi dalla vicenda di don Luciano – i vari gruppi delle scuole romane si ritrovarono a Courmayeur per verificare le prospettive future. Eravamo almeno un centinaio di persone. Emersero posizioni diverse. Attorno a me e a Maurizio Ventura, con riferimento all’appartamento di Pietralata, si decise di restare legati all’esperienza di Gioventù studentesca, che proprio in quel tempo a livello nazionale stava tramutandosi in Comunione e liberazione. Non si voleva creare un nuovo gruppo autonomo. Mentre attorno ad Andrea Riccardi confluirono soprattutto gli studenti del Virgilio con l’intento di proseguire l’esperienza avviata negli anni precedenti che intendeva unire uno spirito “monastico”, quindi la preghiera, con l’esperienza della condivisione soprattutto nei luoghi marginali e periferici delle “caritative”.
Il gruppo di Riccardi costituì il primo nucleo della successiva comunità di sant’Egidio. Sullo sfondo pesava la questione più calda in ambito cattolico negli anni del ’68: se l’accento sulla “liberazione” dovesse cadere più sull’azione sociale o sulla centralità dell’annuncio cristiano, come ci richiamava don Giussani evocando la metafora dei remi in barca: “Ci teniamo stretti Cristo, e basta”, diceva, incitandoci a non lasciarci prendere dalle smanie rivoluzionarie, la presunzione di poter cambiare il mondo con le nostre sole forze, che poi lascia vuoti e delusi.