L’articolo che pubblichiamo di seguito è uscito giovedì 24 agosto sul quotidiano Il Foglio. L’ha scritto Maurizio Crippa, che del giornale è anche vicedirettore. Crippa ha letto con simpatia il libro “Tierra prometida”, e ne sottolinea dei passaggi che l’autore ha inteso indubbiamente comunicare, come il ruolo straordinario del sacerdote di Forlì don Francesco Ricci (qui nella foto di copertina, assieme a don Giussani) negli inizi del movimento di Comunione e Liberazione in pressoché tutta l’America Latina. Una «figura di grande carisma» scrive Crippa «dei più attivi collaboratori del Gius nella causa “missionaria”, dall’est Europa al Brasile all’America latina».
(Maurizio Crippa, Il Foglio) Storia di una storia”. É il sottotitolo che Alver Metalli ha voluto per il suo libro Tierra prometida (Edizioni di Pagina). Non perché sia un cultore di astruse narratologie, ma l’esatto contrario: la concretezza, la fisicità di storie vere. Si è messo al computer, una sera di Buenos Aires, spinto da più sollecitazioni: non a scrivere un libro, ma a ricostruire una memoria preziosa. “La storia di una corrente di amicizie che scava un solco nella più vasta storia degli uomini del nostro tempo”, sono le prime parole. Che poi, è esattamente il modo di procedere del cristianesimo nella storia degli uomini. In questo caso, una parte precisa di quella grande corrente: compresa “tra il 1973 e il 1984, a cavallo tra Italia e America latina”.
Un racconto “che ha al centro un uomo” e che riguarda la nascita delle prime esperienze di Comunione e liberazione in America latina e una fitta rete di incontri, di tentativi, che arrivano fino a noi e alla Chiesa di oggi. Alver Metalli è romagnolo di nascita, uno dei primi della nutrita schiera di giornalisti nati dalla scuola del Sabato e del mensile 30Giorni, che ha diretto. Vive da molti anni in Argentina, dopo aver vissuto in altri paesi del Cono Sur: portato dalla professione, dalla passione per quei popoli e dall’impegno a far germogliare anche lì l’esperienza cristiana di cui è parte. Una “terra promessa” che è anche la storia di una promessa di vita, “uno slancio di riconoscenza verso l’uomo al centro di questa storia di amici in perenne movimento”.
Valeva la fatica di mettersi davanti al computer, a vecchie agendine, cercare nomi e volti spesso distanti nello spazio e nel tempo.
La storia inizia nel 1973, quando Giussani arriva per la prima volta nella “America latina di lingua spagnola”. Perché c’era stata un’altra prima volta, un’altra “corrente”. Quando nel 1961 il Gius partì in nave da Genova, rotta Belo Horizonte in Brasile, dove tra poco andranno i primi ragazzi “missionari” di Gs. Antefatto degli antefatti, ma che spiega l’amore che Giussani ha sempre avuto per il Sudamerica, “la terra del futuro”. É la prima scintilla è una storia tuttora viva di “monache alla fine del mondo”, “tra campi seminati a grano, mais e soia”. Dal monastero trappista di Vitorchiano dove alcune giovani erano entrare su suggerimento di Giussani, era partita a inizio anni ’70 una nuova fondazione a Hinojo, 350 km da Buenos Aires. Il Gius era venuto a trovarle. Sono i primi passi di una trama di rapporti esili e tenaci con gruppi, comunità e sacerdoti che nel paese tormentato di quegli anni provavano a vivere esperienze che erano anche tentativi di aiutare la vita di tutti. I rapporti tra il movimento che in Italia viveva una crescita poderosa e gli amici in Argentina, Uruguay, Cile rimasero vivi, pur attraverso ovvie difficoltà. Grazie anche a figure di grande carisma, primo fra tutti don Francesco Ricci, sacerdote romagnolo mancato nel 1991, uno dei più attivi collaboratori del Gius nella causa “missionaria”, dall’est Europa al Brasile all’America latina.
C’è la mano della provvidenza, come nell’incontro casuale a Roma tra alcuni ciellini che stanno vendendo il Sabato e Fabio Bellomo, importante esule politico peronista, che incuriosito chiede di incontrare Rocco Buttiglione, allora giovane leader romano, e altri amici. Ne nascerà una trama di incontri, di riflessioni sulla chiesa, sul ruolo politico dei cattolici, sull’idea di popolo, che dalle due parti dell’Atlantico lascerà il segno negli anni che portano all’avvento del pontificato di Giovanni Paolo II e della Conferenza di Puebla.
Le agendine di Alver Metalli sono fitte di nomi e di date, il suo racconto è una miniera di eventi sconosciuti per chi conosce quella storia solo da lontano. Ci sono fatti che aiutano a capire molto anche della chiesa di oggi. Come il rapporto nato tra Rimini e Montevideo, tra Roma e Buenos Aires con una personalità come il filosofo uruguayano Alberto Methol Ferré, il “Del Noce sudamericano” e soprattutto uno degli ispiratori della svolta di Puebla, amico e collaboratore di Jorge Bergoglio. Un “fil rouge” che c’entra anche con il Meeting, con l’idea nata “quella sera del 1979, in una pizzeria di Rimini” a pochi passi dal ponte di Tiberio.
Nel 1980 si svolge il primo Meeting e i sudamericani sono già subito molti. Nel 1982, la visita di Giovanni Paolo II sarà l’input per una nuova partenza missionaria. In Italia stava per iniziare una stagione ecclesiale e politica diversa, molte idee sul ruolo “popolare” del cattolicesimo politico verranno lasciate, destinate a riemergere solo un paio di pontificati dopo (sarà per questo che in tanti, ancora oggi, insistono a parlare del “populismo” di Papa Francesco, senza aver mai capito o saputo cosa sia la “teologia del popolo” che tanto ruolo ha avuto in America latina?). Ma Tierra prometida, giustamente, di tutto questo non fa nemmeno menzione. Il libro di Alver Metalli è in fondo anche un’autobiografia, si ferma al 1984, alla vigilia di una nuova stagione anche per Cl in Sud America. Lui ha continuato la sua strada: di giornalista, saggista e romanziere, di cristiano che da anni vive in una villa miseria di Buenos Aires aiutando la parrocchia. Per continuare quella storia nata attorno a don Giussani.